Si parla sempre di più di ebook interattivi, multimediali, aumentati e ho deciso di scrivere due righe sulla mia esperienza di scrittura di Chi ha ucciso David Crane?, la hypertext fiction che ho recentemente scritto per Quintadicopertina, di cui pubblico in questo articolo gli schemi completi che stanno alla base della sua creazione.
La mia idea nello scrivere Chi ha ucciso David Crane? è stata quella di prendere alcuni tipi di scrittura digitale e interattiva, estraendoli dall’ambito in cui si erano sviluppati e di trattarli come se facessero parte del normale armamentario di uno scrittore.

Avevo in mente i librogame degli anni ottanta, quelli della EL e di Lupo Solitario, e il primo lavoro è stato quello di raccontare il cuore della storia di Chi ha ucciso David Crane? utilizzando il paradigma del libro-gioco, ma senza farne un gioco. Prendere insomma la struttura del librogame e ripensarla per un’opera narrativa.
Dal punto di vista della scrittura le opzioni con cui mi trovavo ad avere a che fare erano moltissime: non solo potevo fare variare le avventure del protagonista, modificando quindi i finali della storia a seconda delle scelte del lettore, ma potevo anche azionare degli on/off sugli strumenti dell’intreccio del romanzo, costruendo l’effetto fisarmonica teorizzato da Federico Platania.

In cosa consiste l’effetto fisarmonica? Si tratta di scegliere una serie di elementi tipici dell’intreccio (flashback, dialogo, monologo, eccetera) e di renderli “azionabili” o meno seconda del desiderio del lettore: un personaggio chiede qualcosa al protagonista del romanzo e il lettore ha la possibilità di rispondere o di stare zitto; viene messo in rilievo un flashback che il lettore può non attivare, e quindi non leggere; si possono indirizzare i flussi di coscienza del protagonista, creando di volta in volta monologhi interiori differenti. Non cambia la storia a livello strutturale, ma si modifica l’esperienza di lettura per ogni volta che si legga la storia.
Per me scrittore questo ha cambiato molto, non solo per la strutturazione del testo, ma anche per la gestione dell’editing e degli “scarti di lavorazione”. Tutti i materiali che in fase di editing vengono tagliati perché allungano troppo una azione, o perché lo scrittore (o l’editore) ritiene possano essere troppo impattanti per un capitolo, possono essere aperti o chiusi, delegando quindi al lettore l’opzione di esserci o meno all’interno del testo. Il lettore diventa – in un certo senso – anche editor del materiale che sta leggendo.

Questo non significa sciatteria, o mancanza di vero editing: Chi ha ucciso David Crane? ha subito un editing sostanziale, di cui resta traccia nell’ebook dei contenuti speciali che raccoglie – appunto – le parti effettivamente tagliate in fase di scrittura ed editing.
È al contrario uno strumento in più: un flashback che avrebbe smorzato la tensione narrativa di una scena, io lo nascondo all’interno degli elementi presenti nell’ambiente. Il lettore che è avvinto dalla scena di azione non lo vedrà neppure e proseguirà spedito per la sua storia, il lettore più curioso potrà trovarlo e espandere la propria lettura, un po’ come quando si apre una fisarmonica.

Man mano che si scrive in questo modo, ci si allontana anche dal paradigma di partenza, ovvero quello della storia a bivio. Il bivio diventa una possibilità di racconto, che non porta ad un diverso svolgimento, ma semplicemente ad una coralità di narrazioni dello stesso evento. C’è una scena in Chi ha ucciso David Crane? in cui il protagonista sta leggendo un documento su un computer. Sta leggendo le ultime righe, cruciali, di questo documento, quando sente alle sue spalle un rumore. Il lettore ha la possibilità di voltarsi immediatamente o di leggere le ultime righe e poi voltarsi. Non cambia nulla: quando il protagonista si gira vede la stessa cosa, che abbia letto o meno le ultime righe del testo, e la successione degli eventi successivi ha modifiche marginali. Ma tutta questa lunga parte di testo e dei relativi sviluppi interattivi è scritta in maniera diversa, a seconda che si siano lette o meno quelle righe.

Succedono le stesse cose, ma lo scrittore, dovendole raccontare di nuovo, le racconta in maniera un po’ diversa. Ci prende gusto e racconta da capo una scena che è già avvenuta (in uno svolgimento parallelo), ma questa volta focalizza la sua attenzione su altri particolari, il dialogo tra i personaggi non ha la stessa sfumatura, gli eventi mostrano un maniera chiara al lettore che lo scrittore si sta inventando tutto. Cade, per il lettore che rilegge due diversi sviluppi di Chi ha ucciso David Crane?, il meccanismo della affabulazione legata ad un ipotetico modello intoccabile e sacro di fabula. E quindi cambia anche la funzione dello scrittore. Mentre scrivevo Chi ha ucciso David Crane? non pensavo di costruire un intreccio che passasse nel miglior modo possibile la fabula, ma aggiungevo ambienti ad un contenitore di possibili sviluppi di fabula, per tutti i lettori che ci avrebbero navigato dentro. Anche per questo ho poi costruito il labirinto.

A romanzo finito, già in fase di editing digitale ho riletto una frase che diceva, più o meno, che Buonaventura, il protagonista del romanzo, si era perso nei labirintici corridoi della Boston University. Ci ho pensato, ripensato e mi sono detto, ma perché dico che si perde nei corridoi, invece che fare letteralmente perdere il lettore in un labirinto? Così ho costruito un labirinto vero e proprio, abbandonando la struttura a librogame e quella a “fisarmonica” per abbracciare il modello delle avventure testuali e delle interactive fiction. In questa parte, una delle più ampie del libro (e anche questa attivabile o meno, a seconda delle scelte del lettore), il romanzo è frammentato in vere e proprie locazioni spaziali. Ogni locazione descrive l’ambiente in cui si è, le eventuali azioni che si possono svolgere in quel posto e le uscite verso cui ci si può spostare. Lo spostamento muove la storia verso un luogo diverso, ma è possibile tornare in luoghi in cui si è già stati, e in tal caso si rileggono le descrizioni che si sono già lette.

Una delle "stanze" della Boston University

Una delle "stanze" della Boston University

La scrittura di questa parte è stata massacrante. La cosa di cui non mi ero reso conto nel momento in cui avevo disegnato la mappa, era che avrei dovuto descrivere anche cose che non avevo immaginato. Cioè, io avevo immaginato la struttura della Boston University, ma non sapevo come fossero fatti i bagni. O l’aula di geografia, o le stanze – tutte le stanze – degli studenti. O i corridoi, o i disimpegni. La creazione di un luogo credibile e non eccessivamente seriale, in cui non succede sostanzialmente nulla, è un esercizio di inventio continuo, faticoso e – alla prova dei fatti – liberatorio. Man mano che scrivevo queste descrizioni da interactive fiction, mi accorgevo come fosse esponenziale la frantumazione di tutte le idee narrative che stavano attorno al labirinto. Le descrizioni delle stanze diventavano dei quadri/specchio che permettevano di dire cose che non avevo potuto dire con la narrazione tradizionale e mi davano modo di andare in profondità nella descrizione dell’ambiente. Il romanzo, più lo frantumavo in tesserine a incastro, più diventava una struttura polimorfa che parlava tutte le diverse lingue delle lettere.

Siamo arrivati alla fine: come potrai capire dagli schemi che ho allegato, scrivere un romanzo interattivo, che lavori sulle strutture narrative, ha bisogno di una strutturazione abbastanza elaborata. Bisogna che una scena che crea un certo climax, mantenga lo stesso climax anche in tutte le scene che derivano dalla prima, così come è necessario mantenere la coerenza tra i diversi sviluppi delle letture. Se un lettore ha la possibilità di non accedere ad un flash-back, non potrò dare per scontato che lo abbia letto. Potrebbe non averlo attivato. Così se un personaggio decide di prendere con sé un oggetto, dovrò tener conto del fatto che quell’oggetto lo accompagnerà per tutto il romanzo, e potrà servirmi per uno snodo della storia. Il personaggio non potrà comportarsi come se non lo avesse, se invece il lettore ha deciso di prenderlo.
Gli elementi narrativi poi devono reinventarsi quelli ‘ludici’, anzi diciamo riappropriarsi. La chiave che apre la porta dietro cui c’è una chiave con cui si apre un’altra porta e così via, sta alla base del gaming interattivo fin dai primordi.
Ma è anche alle radici dell’affabulazione più schiettamente fiabesca e romanzesca e forse è anche uno dei paradigmi più schietti di quello che è l’implacabile storytelling del proprio travaglio quotidiano.