1. Il mercato dell’ebook è figlio del mercato musicale e video. Vendo musica in digitale, vendo video in digitale: perché non posso farlo anche con i libri, che è pure più economico? Tutti i DRM stanno lì a dimostrarlo. Kindle è nato come l’iPad dei libri.
  2. Questo è il mercato, baby. Nonostante alcuni interessanti esperimenti (Tender Metal per citarne uno squisitamente pop), il mercato della musica ha utilizzato il digitale solo per le sue potenzialità distributive. Non per quelle di relazione con il contenuto o la struttura musicale. Ascolto un MP3 con la stessa modalità passiva con cui ascolterei un cd.
  3. Se abbiamo un mercato degli ebook oggi è per questo legame strettissimo tra prodotto libro, capacità di acquisto di beni virtuali da parte dei consumer e aggiornamento tecnologico (siamo passati in meno di cinque anni dai 90 punti per pollice di un normale schermo lcd, ai 250/300 punti per pollice di e-ink o retina display).
  4. Incidentalmente, prima, durante e dopo questa rivoluzione digitale, quella – intendo – che porta il prodotto libro dentro al mercato di beni digitali, la parola scritta continuava a svilupparsi fuori dal libro. Ad esempio sul web.
  5. Altro incidente, per fare ebook, viene scelto un sistema di marcatura proveniente dal web, e vengono inserite all’interno delle specifiche ebook istruzioni per fare cose che si fanno sul web, ma non si possono fare con un libro. Ad esempio link ipertestuali.
  6. E qui siamo al centro della grande contraddizione:

    • abbiamo editori che fanno libri e che li esportano in un formato improprio, quello degli ebook, senza modificare il proprio flusso di lavoro. Fanno dei libri in digitale, ma non digitali;
    • abbiamo produttori di device e di programmi per leggere ebook che non hanno alcun interesse per sviluppare specifiche che rendano indipendenti gli ebook rispetto alle loro device. Ovvero: è meglio che gli ebook restino libri digitalizzati e che eventuali sviluppi in digitale siano vincolati al luogo dove si è acquistato l’ebook (ad esempio le notazioni aggiunte dal lettore);
    • abbiamo specifiche di formati per fare ebook che non sono adatte a fare ebook, essendo derivazioni poco coerenti di strumenti nati per fare web, ma senza avere la potenza (e la libertà) del web;
    • resta del tutto invisibile ai lettori e a buona parte degli editori la reale potenzialità di un discorso editoriale portato omogeneamente in digitale. Si marcano testi guardando solo alla tipografia, si producono dati non marcati (quindi inutili), si marcano testi marci: scansioni OCR prodotte sotto costo in qualche paese dell’est o dell’ovest del mondo.
  7. Questo porta ad avere una stasi del prodotto ebook, stasi a cui si contrappone di tanto in tanto una visionarietà web che preferisce parlare di un remoto futuro del libro, specie se multimediale, invece che affrontare i problemi e gli sviluppi reali della comunicazione, della narrazione e dell’informazione quotidiana, oggi, in digitale. Questo porta ad avere – ad esempio – testi a scorrere con dentro dei video, ma nessun ragionamento sulla manipolazione dei dati contenuti nel testo stesso, o sulla relazione con altri luoghi dove queste informazioni possono essere lette in movimento.
  8. Visto da dentro appare un panorama con grandi potenze inespresse e mal disposte. Ci sono soggetti, di solito piccoli, che queste potenze di tanto in tanto le mostrano e le realizzano in prodotti editoriali digitali. Di questi soggetti – come talvolta ci siamo trovati ad essere con quintadicopertina – si parla bene nel circuito. Talvolta questi soggetti vengono definiti coraggiosi. Finché la loro potenza non finisce e chiudono, o se ne vanno lontano dal mercato italiano a fare dell’altro.
  9. Questo porta il mercato digitale a proseguire la sua commercializzazione di libri digitalizzati e a favorire l’accentramento sempre più forte attorno a pochi soggetti che raccolgono attorno a sé la nuova moneta della cultura: la tecnologia.

(Qui il j’accuse di Alese)