La settimana scorsa leggevo i tweet che rimbalzavano da #editech13, in bilico tra analisi di mercato dell’editoria digitale, vaticini & aruspici e strani ritorni al passato. Ad un certo punto ho letto del caso di Anna Premoli, autrice di un romanzo pubblicato attraverso il self-publishing di Amazon ad un costo di 0.99 centesimi, che ha raggiunto il notevole venduto di 10.000 copie. Il successo del passaparola e dei meccanismi del “social buying” di Amazon è stato anche premiato da Newton Compton che ne ha acquistato i diritti per il cartaceo.
Dopo un attimo di incredulità (10.000 copie nel digitale sono davvero tanto, non solo per un self-publishing), due vocine hanno iniziato a parlarmi dentro la testa. ‘Poniamo che sia vero’, mi hanno detto.
La prima vocina mi ha detto, vedi, hanno ragione quelli che dicono che gli ebook non devono costare tanto, che devono essere dei semplici libri in digitale, senza perdere tanto tempo in sofisticherie interattive e ipertestuali. Dovresti farlo anche tu che sei un editore, non solo i self publishing! Diecimila copie, cavolo, se ci fossi riuscito tu adesso saresti a posto, a mangiare ostriche in riva al mare!
La seconda vocina ha detto, calma venerandi, facciamo due conti. Facciamo finta che tu, editore, abbia davvero venduto, in un anno, a 0.99 centesimi e usando Amazon, 10.000 copie di un romanzo di un tuo autore.
Diecimila copie a 0.99 significano 9.900,00 euro. Di ricavo. Di questi 9.900,00 euro il 70% va ad Amazon. Perché, se un ebook ha un prezzo al di sotto di una certa cifra, Amazon te lo vende solo se gli dai il 70% del ricavo. Ovvero 6.930,00 euro sono fermati all’origine e dirottati a Bezos che ringrazia sentitamente. Del restante, 2.970,00 euro, circa 89 vanno al Lussemburgo, per aiutarne le infrastrutture fiscali. Restano 2.880,00 euro.
{nb forse l’iva si toglie prima dello scorporo di amazon, non ricordo, ma il calcolo cambia poco}
Tu, editore, potresti aver fatto fatto un contratto con il tuo autore con scaglioni di guadagno, chessò: se vendi fino a 1000 copie ti do il 30% del guadagno, se vendi più di 5000 ti do il 40%, se vendi più di 10.000 ti do il 50%.
Quindi, in questo caso, all’autore va il 50% del guadagno, circa 1.440,40 euro.
A te editore uguale, 1.440,40 euro che saranno poi tassati dalla legislazione italiana (non più lussemburghese) e – spannometricamente – posso dirti che circa il 50% andrà ad aiutare lo stato italico. L’italica gente.
Quindi, alla fine del conti, caro venerandi, il guadagno del lavoro per un best seller digitale da diecimila copie, venduto a 0.99 via Amazon, è – per te – circa 720 euro annuali. E stiamo parlando di un “caso” editoriale. Un’eccezione alla norma.
Le ostriche, mio consiglio, le eviterei.
A questo punto la prima vocina dice alla seconda vocina una cosa che non posso ripetere e se ne va. Ma la seconda vocina non è che sia proprio felice di aver fatto tutti questi conti, e mi abbraccia e mi chiede se i lettori questi calcoli li facciano quando parlano di ebook a 0.99
Ma forse la mia seconda vocina ha sbagliato i suoi conti e qualcuno può correggermi…
Eccomi, sono la terza vocina, che viene a correggere i tuoi conti (e se ti convinco mi farà piacere se vorrai farlo sapere in giro): tutto sarebbe come ti ha detto la seconda vocina se Anna Premoli si fosse autopubblicata da sola su Amazon. Invece l’ha fatto attraverso Narcissus.me (disclaimer: è la piattaforma di selfpublishing della mia società, Simplicissimus Book Farm), che ha portato il suo ebook su Amazon e su tutte le altre librerie online. Quindi subentrano due variabili, in forza del contratto che Narcissus ha in essere con le librerie, compresa Amazon:
1) La libreria si prende sempre e solo il 30% (compresa Amazon), anche se il prezzo è 0,99
2) L’autore si prende sempre il 60%, e questo perché
3) Narcissus si prende il 10% per il lavoro di distribuzione
NB Da notare che il 60% del prezzo “di copertina” che Narcissus garantisce SEMPRE agli autori è equivalente e a volte superiore al proclamato 70% promesso da Amazon ai selfpublishers (e che scatta solo per prezzi più alti, come tu hai notato bene): questo perché se andate a leggere le clausole di Amazon scoprite che all’autore danno il 70% sul prezzo di vendita AL NETTO di importi vari (per contributo roaming, in base alla grandezza del file, ecc…).
Ciao!
Ah, ciò non toglie che:
– stiamo scoprendo che a 1,99 gli ebook vendono mediamente più copie che a 0,99 (nulla è come sembra)
– il conto sulla redditività di questo caso specifico (Anna Premoli) andrebbe corretto anche alla luce del fatto ch grazie a quel libro a 0,99 è stata “opzionata” da Newton Compton che l’ha messa sotto contratto, con un anticipo e commissionandole altre titoli.
I conti di Fabrizio sono giusti (Narcissus in effetti ha un contratto notevole, ma è un self publishing e non vale per i piccoli editori). L’unica cosa è che la tassazione dello stato non è sul fatturato (su quello incide solo l’iva) ma sugli utili.
Se vedeste un contratto standard Newton l’ascrivereste tra le perdite e non tra i ricavi. 😉
Il conto di fabrizio non dovrebbe tener conto dell’editore, se parliamo di un self publisher teorico in generale quindi all’autore va il 30%-menoqualcosa i 2880 euro su cui pagherà le tasse eccetera.
Interessante la precisazione di Tombolini, in questo caso se il selfpublisher usa i servizi editoriali di narcissus i termini sembrano molto interessanti, specie per far curare la distribuzione a loro su tutti gli store.
Ma nel conto della redditività nel caso specifico i successivi ingaggi e anticipi per libri non scritti non c’entrano secondo me.
Se Anna Premoli avesse fatto tutto veramente da sola, 2880 euro a fine anno significano una vacanza estiva dignitosa. Io ci metterei la firma. (50% di tasse?! Ma che reddito devi avere per pagare il 50% di tasse in Italia? Non sono un commercialista, ma la casellina redditi per diritti d’autore c’è anche nel 730 e immagino che quel reddito si aggiunga a quello da dipendente. A voglia ad arrivare al 50% di IRPEF!)
Ringrazio tutti per quello che avete scritto e faccio alcune precisazioni. Parto dalla fine rispondendo a Jan e ilcomizietto: lo scopo di questo racconto non era di dimostrare che il self publishing non funziona, ma di mostrare che – a differenza di quello che proclama di tanto in tanto qualche blogger – funziona /soltanto/ con il self publishing (e – aggiungo – con un certo tipo di self publishing). Ovvero non può essere applicato in toto al mercato editoriale digitale. La precisazione puntuale di Tombolini lo conferma: c’è un importante bilanciamento di poteri per quel che riguarda la distribuzione e la vendita di beni digitali, che va a toccare proprio i soggetti più deboli, ovvero coloro che non possono imporre ma solo aderire.
Parlando di conteggi puri: certo Dario e ilcomizietto, il 50% finale è tranchant e ha valore didascalico. È difficile dire quanto sia l’effettivo peso di spesa fiscale sul singolo ebook. Quello che volevo sottolineare è che la pressione fiscale reale di un piccolo imprenditore è superiore al 50% (mi pare che i dati comunicati la settimana scorsa parlino del 56%) e che non è riconducibile alle sole spese irpef di un dipendente.
E gli investimenti e le spese di un editore (e fatemelo dire, anche la qualità finale del prodotto) sono figli di questi investimenti e queste spese: giusto per restare nell’esempio citato, la prima cosa che ha fatto la Newton Compton con il testo in oggetto, oltre al contratto, è stato editare il testo. Ovvero investire denaro in un editor che lavorasse al manoscritto messo in vendita via amazon e ne facesse un prodotto editoriale. A cui poi avranno seguito altri investimenti per la grafica, la cover, eccetera.
Fingere che questi passaggi non esistano, o che non contino o che non impattino sul prodotto finale, a me pare sia una miopia.
Un ultima precisazione al conteggio di Tombolini, che ringrazio ancora per i suoi numeri “narcisistici”: però nel “gioco” delle percentuali narcissus vs. amazon, non cambia quella relativa all’IVA? Dovrebbe lasciare il 3% lussemburghese e tornare al 21% italico o mi sbaglio?
Ad ogni modo fabrizio sottoscrivo in pieno la tua tesi
Se andiamo a “tesi” cui aderire io mi ritiro 🙂 Preferisco raccontare i fatti che conosco direttamente. Dario, per il piccolo editore che arriva ad Amazon usando STEALTH (la piattaforma di distribuzione di Simplicissimus riservata agli editori) è ancora meglio che per il selfpublisher, perché “lascia” ad Amazon il 30% (tanto quanto un Mondadori), e a STEALTH il 5%, e si prende il 65%. Insomma, è la vecchia sana storia per cui se tra piccoli ci si aggrega si acquisisce potere contrattuale, e questa è un po’ la nostra missione. Sulla questione 3% vs 21%, Fabrizio, tornerò a parte altrove perché piuttosto complessa. Anticipo solo che mi aspetto che presto tutti i player globali saranno (giustamente) costretti a pagare l’IVA del paese di destinazione (e non di quello di origine), come è già nella vendita a distanza di beni fisici.
uh, non volevo sembrare OT, anzi, mi sono appena iscritto a STEALTH con la mia etichetta, la RED STAR PRESS
Faccio outing: ho pubblicato il mio romanzetto con Amazon. Ti racconto come sono finita dall’editore tradizionale all’autopubblicazione, contromano rispetto a tutti gli altri di cui si sa. Faccio i nomi e i cognomi visto che questa non è ficion e la legge ammazzablog non è ancora stata approvata. In caso, smentisco.
Dunque qualche anno fa partecipavo a un laboratorio di scrittura a Milano, senza grandi velleità perché scrivere è il mio gioco preferito ma anche senza farmi passare per una che non ci sta perché altrimenti me ne starei a casa mia. E così a un certo punto mi scrive Davide Musso di Terre di Mezzo e mi dice che ha saputo che ho in corso un progetto interessante e se gli mando qualcosa da leggere. Gli mando due o tre capitoli, gli piace e mi esorta a continuare, dandomi buoni consigli. Vado avanti e finisco la prima stesura, gliela mando, lui la legge e dopo qualche mese mi dà ancora molti buoni consigli. Lo ascolto, ribalto tutto il testo e lo riscrivo da capo, due ragazzetti intelligenti mi fanno l’editing severo. E sono alla terza stesura. Forse nel frattempo Davide si era stancato, forse non avevo mantenuto le promesse delle premesse, forse è la crisi o la menopausa. Passa un anno e non mi risponde, ogni volta che lo incontro di persona mi chiede tempo, mi chiede anche di non mandarlo ad altri editori e di avere pazienza. Tutto questo è strano e io sono outsider ma non stupida: non può chiederti questo, mi dicono gli amici.
Così mi faccio prendere dai dubbi e provo a mandarlo un po’ in giro. Due piccoli editori e un consulente editoriale: non mi rispondono. Passano ancora dei mesi e stavolta sono proprio stufa: senza dir niente a nessuno, all’inizio dell’anno mi metto a pubblicare i capitoli sul mio blog, uno o due alla settimana. Vorrei passare ad altro, non sono una professionista ma questa storia sta diventando troppo lunga, mi sento sminuita, sono scoraggiata, sono anche un po’ pentita e mi sembra che mi abbian guastato il mio gioco.
Dopo due o tre settimane mi riscrive Davide Musso, mi dice che gli piace sempre molto la mia scrittura, che l’ultima stesura era sicuramente meglio delle precedenti ma che il mio romanzo non lo appassiona e quindi non se ne fa nulla.
Grazie lo stesso, dico io. Intanto dal blog vengono commenti entusiasti ma sono solo lettori, mica editori.
Ne spedisco una trentina, pdf o epub fatto con calibre, gratis a chi me lo chiede. Quando finisco le puntate ci metto i ringraziamenti e qui succede una cosa inaspettata: in tanti sul blog e su facebook mi chiedono di pubblicarlo, mi dicono che devo metterlo a disposizione, che gli sconosciuti non hanno il coraggio di chiedermelo direttamente. Mi lascio lusingare e cedo. Impulsivamente vado su Amazon e senza pensarci su troppo lo metto lì. Non posso (e non voglio) dare l’esclusiva perché le puntate sono ancora tutte sul blog con licenza creative commons e non ho intenzione di toglierle, per questo devo stare in una certa categoria e il prezzo minimo che posso fare è 3 dollari, non posso distribuirlo gratis o partecipare alle offerte speciali. Erano i primi di maggio e ho venduto in tutto 9 copie. Ho sfinito i miei amici di facebook perché mettessero like sulla pagina che ho creato apposta, ma dopo i primi giorni di entusiasmo l’eccitazione è scemata, chi lo doveva vedere l’ha visto, mi sa che questa esperienza è finita per davvero.
Non so se su Narcissus e Simplicissimus avrei avuto un risultato migliore, io credo che Amazon non mi abbia portato nemmeno una vendita: i lettori me li sono trovati tutti io.
Come minimo con Narcissus avresti potuto mettere il prezzo che volevi tu, e saresti stata presente automaticamente anche in tutte le altre librerie online (iBooks Apple, Kobo, ibs, feltrinelli, ecc…)
Imho il ‘difetto’ del pezzo è distinguere chiaramente ciò che può fare un self publisher da ciò che può fare un editore indipendente. Nell’esempio di Chiara Premoli, per un risultato di questo genere un autore ci mette la firma, è indiscutibilmente un successo. E lo sarebbe anche per un editore, anche se il conteggio economico sarebbe differente. Ma questo è un ‘problema nostro’, di editori: sostanzialmente Fabrizio dimostra che per la Premoli è stato meglio pubblicare autonomamente che affidarsi a un editore (e credo sia realmente così). E allora che facciamo noi? Ci piangiamo addosso e ce la prendiamo con tasse e mercato? In questo caso non avremo veramente senso di esistere, lunga vita al self publishing. Oppure cerchiamo di comprendere in quale maniera a un autore convenga pubblicare con un editore, e lavorare su quello, e far quadrare i bilanci con le soluzioni e non con i dubbi.
Oppure l’editore mette le mani in pasta e viene a parlare (per esempio) con noi per chiederci cosa stiamo scoprendo nel selfpublishing per farci venire un po’ di idee sul da farsi. La mia tesi, che qui mi limito a enunciare, è che il selfpublishing immetterà sul mercato talmente tanti titoli che il lavoro dell’editore (ripensato e ristrutturato) sarà sempre più prezioso.
Un editore è importante quando poi si racimolano questi risultati: http://www.ilgiornale.it/news/cultura/quei-grotteschi-errori-top-ten-i-panettonisti-i-premiatigli-930193.html Direi fondamentale!
L’editore oggi ha un grosso problema e dipende da tutt’altro… Il discorso è lungo e complicato. Io ammiro piccole realtà come Quintadicopertina.
In questo periodo, per il mio sito iltuoebook.it ho realizzato alcune interviste ad autori self che hanno avuto un certo riscontro e ho scoperto un po’ di cose interessanti. Credo cioè che il fatto che ci siano alcuni autori che in completa autonomia e indipendenza sono riusciti nel giro di qualche mese a vendere 2, 3 o 5mila copie, per quanto a 0,99, è un fatto molto interessante. Visti almeno i numeri del mercato degli e-book italiani. Partendo dal presupposto che ciò che vende è la Letteratura di genere (fantascienza, romance, thriller esoterico-storici, un po’ di gialli), bisogna cercare di capire come si arriva a certi risultati. Cioè come funziona l’ecosistema Amazon. Bisogna entrare nelle grazie del loro algoritmo che ti fa apparire. Ti fa apparire nelle ricerche, ti fa apparire nel famoso “chi ha comprato questo libro ha comprato anche quest’altro”. Tanto per dire. Questa è ancora una fase pionieristica, dove tutti stanno (stiamo) cercando di capire come si fa, accumulano esperienza o si creano una reputazione, poi se le cose vanno come devono andare – come sicuramente alla fine andranno – fra due, tre, o cinque anni, le 5mila copie saranno 50mila. In questo momento mi sembra inutile fare i conti della serva. E poi comunque vogliamo paragonare questi casi di self-publishing a esperienze simili nell’editoria tradizionale? Agli esordienti (e non solo loro) che prendono, se va bene, se va bene, 1000 euro di anticipo per un romanzo e non vedranno mai una lira di diritti. Ai libri di varia per i quali l’autore viene liquidato con 1500 euro tombali? Se dal punto di vista della visibilità, la forchetta è ancora larga, da quello dei compensi il gap si va colmando velocemente. Certo poi uno dice nell’editoria tradizionale c’è l’indotto, i giornali, le consulenze, le collaborazioni. Sì, ma sempre meno. E per quanto ancora?
[…] parlando di e-book a 0.99 euro c’è questo gustoso articolo di Fabrizio Venerandi, editore di […]
Sono completamente d’accordo con quanto scritto da Fabrizio Venerandi, anche quando parla di tassazione al 50%. Difatti i miseri guadagni di un self che vende su Amazon (o altri) a 0,99, si vengono a sommare a quelli degli altri redditi. Ora, non tutti hanno una tassazione del genere, soprattutto se uno è un comunissimo dipendente, ma si arriva facilmente a quella percentuale se si sommano le cifre perse anche sulle detrazioni fiscali e sugli assegni familiari per persone a carico. Per non parlare del rischio d’uscire del tutto fuori da alcune agevolazioni comunali e regionali.
Per esperienza personale posso affermare che i miei guadagni Amazon del 2012 (poche centinaia di euro…), li sto TUTTI ripagando quest’anno sottoforma di detrazioni perse o scaglioni saltati nelle tabelle degli assegni familiari, oltre a quello che ho ridato in sede di dichiarazione dei redditi. Se questi sono guadagni…