Apple è entrata a gamba tesa nel mondo dell’editoria digitale presentando la settimana scorsa un nuovo Word Processor finalizzato all’esportazione di ebook multimediali leggibili da iPad. Le prime considerazioni, a freddo, le trovate qua.
Le implicazioni di questa mossa sono molte, a partire da qualche lecita domanda sullo sviluppo del formato aperto ePub3, di cui oggi non esistono lettori su alcuna piattaforma e che è già “sotto assedio” dai formati proprietari di Apple e Kindle.
All’interno di questo quadro faccio un piccolo outing: dopo aver brevemente provato il nuovo tool di sviluppo di Apple, Ibooks Author, ho avuto l’impressione un po’ sgradevole di trovarmi di fronte a qualcosa di datato. Non che perché Ibooks Author sia fatto male, ma perché è costruito per essere alla portata di tutti e per raggiungere questo scopo usa pesantemente il WYSIWYG.
Il WYSIWYG, ovvero, “quello che vedi è quello che poi ottieni”, è un sistema di costruzione di documenti che nacque per fare in modo che quello che si vedeva sullo schermo fosse poi quello che effettivamente usciva in fase di stampa. Tutti i Word Processor oggi sono basati su WYSIWYG, così come i programmi di DTP.
L’outing che faccio è dire che, nel digitale, il WYSIWYG è una fantozziana “cagata pazzesca“. Voglio dire: è giusto che io, se voglio stampare su carta, veda esattamente sullo schermo quello che vedrò poi stampato su carta, perché la parola stampata è quello che è. Il valore della parola stampata è tutto lì: nel suo esserci, in un dato posto, con una certa forma (e con un certo significato).
Usare lo stesso paradigma per la parola digitale, significa pensare che la parola digitale non sia altro che una parola stampata sullo schermo. Che non possa avere altro valore di quello che vedo leggendola su un device.
Così non è, o meglio: così può non essere. Ne ho già parlato in passato, la parola digitale può essere arricchita di sovrasignificati e di relazioni con le altre parole che la circondano. Può essere istruita e catalogata, in modo da poter essere usata per estrarre informazioni, dati, connessioni. Anzi, la valenza più interessante della parola digitale sta tutta in questa sua iper-testualità, che noi usiamo ogni giorno sul web, quando tagghiamo una persona, laichiamo un post, condividiamo un video, postiamo un commento. Questa strumentazione comunicativa può essere applicata anche a documenti sofisticati e ampiamente strutturati, è una delle cose di cui ci si può anche innamorare.
Tipo, ed è il secondo outing, io sono un po’ innamorato di TEI. Sto studiando il TEI lite, una variante semplificata di TEI ed è davvero emozionante. In pratica, banalizzo, TEI è un sistema di tagging, un po’ come XHTML. Solo che i TAG che si possono usare sono tanti, e tutti specializzati a dare significato a testi umanistici. Esistono TAG per i titoli dei libri, per gli autori dei titoli dei libri, per l’editore del titolo del libro; esistono TAG per identificare i dialoghi, e per inserire i dati di chi sta parlando all’interno di un dialogo; TAG per i versi di poesie e TAG per le strofe; TAG per le note, per le figure retoriche, per le voci di dizionario. Insomma, è possibile arricchire di significati un testo ad un livello di complessità davvero notevole e sembra essere nato per fare libri digitali. Ovviamente non si usa questo per far ebook.
A cosa può servire un tagging di questo tipo? In fondo noi vogliamo solo leggere un libro. Cosa ci servono queste informazioni che non vediamo? La mia risposta, è che queste cose servono a fare con un libro digitale le cose che con un libro di carta non possiamo fare. Sono cose invisibili perché, fino a ieri non le potevamo nemmeno pensare. Ho già citato in passato esempi di raccolta dati sulle citazioni, o sui nomi notevoli usati in un testo, ne aggiungo uno più scemotto estemporaneo: mentre leggevo le specifiche TEI, pensavo ecco, sto leggendo i Promessi Sposi, clicco su vista, scelgo dialogo teatrale, e i Promessi Sposi romanzo si trasformano in un copione teatrale del romanzo stesso. E rileggo il capitolo con le sole parti dialogiche. O tocco le citazioni delle gride manzoniane e accedo alle informazioni sulle fonti che posso avere in rete e che sono state selezionate dal curatore della mia edizione digitale
. E così via: una volta che un testo non è solo quello che leggo, ma è anche quello che è, le operazioni che posso eseguire su di lui (o su di loro) sono davvero molte e dipendono in primo luogo dalle esigenze del lettore.
Dubito che il TEI possa diventare uno standard usato per costruire ebook, perché è un dialetto XML molto più complesso di XHTML e perché taggare bene un ebook con questo sistema sarebbe molto più costoso che farlo altrimenti. Inoltre il modello “alla portata di tutti” è – a livello di mercato – molto più redditizio. Però – imho – se ci sarà una rivoluzione sostanziale sul leggere e sullo scrivere digitale, non passerà da ebook fatti con parole statiche inframezzate da video tocccabili, ma ragionerà sulla natura stessa della parola nata e arricchita in digitale. Con i libri digitali si andranno a toccare le cose che non si vedono.
Perché la rivoluzione è talvolta invisibile all’occhio.
Concordo su TEI, ci ho lavorato per un po’ con… Dreamweaver :). Ma un qualsiasi “word processor” XML può fare lo stesso o forse meglio.
IL problema non è la DTD o l’XML Schema, il problema è che con il WYSIWYG si è persa di vista la struttura dei documenti e quindi non funziona nulla, nemmeno in Epub 5.
ps: ma quando si accorgeranno che epub, per esempio, considera deprecate anche le semplici tabelle e le liste? che razza di markup sarebbe? per editoria scolastica? mah 🙂
http://idpf.org/epub/vocab/structure/
Epub5 chissà se lo vedremo, io qua non so se arriveremo al 3. Le liste deprecate: non l’avevo visto, ma onestamente non ho ancora impaginato interamente un ebook in ePub3. Aspettavo di vedere come e quanto le specifiche sarebbero state adottare dei lettori.
Impaginare non è assolutamente scrivere. E il word processing non è il DTP. Dietro alcune affermazioni c’è un elemento di ambiguità, perché iBooks Author è un DTP 2.0, non un word processor.
D’accordissimo. Io spero che il passaggio al digitale non accentui ancor di più un brutto vizio che già accade oggi con i libri cartacei: chiunque si reputi in grado di saper scrivere, scrive.
Il digitale richiede secondo me una figura ancora più professionale che vada oltre il “semplice” editing. L’introduzione di TAG può letteralmente sconvolgere la lettura, senza però risultare pacchiana. Mi viene in mente un esempio veloce: immaginatevi tutti i dialoghi che vengono taggati saggiamente. Bene, adesso un lettore eBook adeguatamente predisposto può, in mezzo secondo, applicare una formattazione particolare a TUTTI i dialoghi del libro e in forme più evolute potrebbe maneggiarli per funzioni ancora più particolari.
È bene quindi che si stoppi sul nascere la credenza che l’eBook sia un PDF 2.0, ma che anzi venga chiarificata bene la sua natura.
Piccolo appunto da non dimenticare MAI: i libri, soprattutto la narrativa, i romanzi etc. etc., devono però rimanere libri. Io amo il Kindle perché è un dispositivo che serve SOLO per leggere. Già leggere sull’iPad è difficile, perché sei sempre tentato di fare qualcos’altro. Ho paura che troverei fastidiosa la lettura di un eBook che vuole fare troppo e che infanghi con la troppa multimedialità l’essenza stessa della lettura. Quindi assolutamente una buonissima struttura dietro, ma possibilmente davanti solo l’essenziale.
Secondo me parti da premesse sbagliate. Apple con iBooks Author non intende rivoluzionare l’editoria digitale, continuerà congiuntamente a supportare ePub3 e tutto quello che seguirá.
Come è stato più volte rimarcato, il mercato di riferimento di questo specifico prodotto è quello dell’editoria scolastica. E secondo me, in questo settore, è stato volutamente scelto questo approccio ibrido – innovazione data dalla multimedialitá ma struttura tradizionale basata su impaginazione fissa – fondamentalmente per due motivi. Il primo è che se lo possono permettere, perchè al contrario di un classico eBook questi girano su un solo hardware ben preciso, perfino lo stesso iPhone di casa Apple è tagliato fuori. E secondariamente, per non disorientare eccessivamente gli attori in causa: educatori da un lato e studenti dall’altro. Sono i libri di sempre, continuano ad avere senso concetti familiari come “studiare da pagina x a pagina y” – però sono interattivi e stanno tutti su una tavoletta. Lo si puó considerare un approccio poco coraggioso, sbagliato, magari sará solo un passaggio intermedio, però secondo me ha eccome una sua logica.
E’ chiaro che per forza di cose iBooks Author verrá usato anche per altri tipi di contenuti, però secondo me parte tutto da lì. E penso anche che l’impaginazione fissa, nonostante tutti i limiti del caso (in primis la compatibilità mono-dispositivo) possa avere anche in vari altri contesti un suo perchè.
Ti consiglio di dare un’occhiata all’ebook dedicato a yellow submarine, lo trovi senz’altro tra quelli gratuiti più scaricati su iBooks, è un prodotto che non ha senso se non con un’impaginazione statica, ma ti sfido a dire che è fatto male.
Altro esempio, la app del New Yorker per iPad: per ogni pagina sono presenti due impaginazioni, portrait o landscape, ma oltre quello non si scappa. Non si può ingrandire il carattere, non si può far nulla che non sia leggere o guardare gli allegati multimediali, ma la fruizione è magnifica.
@Marco Benissimo, chiamiamolo anche DTP, non credo che la sostanza del mio discorso cambi più di tanto, anzi: è proprio la concezione DTP a non essere congrua quando si parli di impaginazione digitale.
@Andrea: Poco coraggioso dici. Sì. La mia impressione è di uno scontro economico di grandi cifre tra apple, amazon e gli altri attori. La scelta di apple, magari vincente, è quella di chi ha poco coraggio e si blinda dietro un ecosistema di produzione-vendita di contenuti.
DTP 2.0 scusate ma mi fa troppo ridere 🙂
Non so se qualcuno si occupa di Web qui, ma Frontpage… è la replica di Frontpage e asp.