Facciamo finta che io sia un piccolo editore, che apra la mia casa editrice digitale e che voglia lanciare un romanzo di fantascienza. Ho scoperto un autore che trovo dannatamente bravo e voglio pubblicare il suo romanzo in formato ebook.
Faccio un contratto all’autore, impagino il suo testo, lavoro con lui all’editing e alla fine finalmente faccio uscire l’ebook nello store on-line della mia casa editrice. A un prezzo onesto, facciamo tre euro.
A questo punto mi guardo intorno e mi rendo conto che mentre io facevo il mio bravo lavoro di editore, centinaia e centinaia di romanzi di fantascienza venivano scaricati con il p2p. Lettori scannerizzavano i loro Urania, i loro Galassia e li mettevano in rete, creando una enorme biblioteca illegale di testi piratati. A costo zero.
E io editore mi chiedo: ma come potrebbe un lettore scoprire il mio autore se la rete gli offre la possibilità di scaricarsi gratuitamente i migliori scrittori di fantascienza delle migliori case editrici nazionali? E mi rendo conto che il p2p non mi danneggia perché viene piratato il mio libro, ma perché vengono piratati tutti gli altri.
A questo punto nascono due o tre considerazioni in ordine sparso.
Il grosso vantaggio dell’editoria digitale, ovvero quella di eliminare le barriere tra editore, scrittore e lettori, viene azzerato dalla cultura del p2p. Se chi compera un lettore digitale lo fa pensando che, una volta fatta la grande spesa del «ferro», potrà leggere gratis per sempre, scaricando libri a gratis, allora ci sono scarse possibilità di sviluppo per un mercato editoriale digitale, specie per la media e piccola editoria.
Una non visibile conseguenza del p2p, a livello creativo, è che l’autore di fantascienza che ha fatto un contratto con me, non ne fa un secondo. Perché un secondo romanzo, in queste condizioni, non lo scrive.
Ogni libro scaricato con il p2p, in soldoni, è un elemento dissuasivo a produrre nuova narrativa.
Molti discorsi sul marketing, sulla distribuzione, sui drm, sono a valle del problema del p2p: se il lettore non percepisce il suo acquisto come un investimento culturale e se continua a sussistere la gratuità ‘forzata’ e illegale del prodotto intellettuale digitale, la varietà di questo prodotto intellettuale è destinata ad impoverirsi e la qualità ad abbassarsi.
sarà molto interessante osservare queste dinamiche.
a oggi esistono in p2p solo dei pdf, fotocopie-scansioni di libri piratati e di classici.
oltretutto, mentre per un film ci vogliono alcune ore, per un libro basta qualche minuto [a volte secondi].
cosa verrà piratato?
come inciderà sulla diffusione e vendita degli eBook?
e se il p2p sarà massivo, questo quanto inciderà sulla *produzione* di libri?
si vedrà…
ciao,
e-
Ciao Fabrizio, sono pienamente d’accordo con te. Però mi sembra che la domanda di fondo sia sempre la stessa: è possibile un modello di business dei prodotti culturali sul web? Finora mi pare che ogni tentativo sia fallito. Concordo con te nell’individuare il problema (la “gratuità forzata” livella necessariamente lo standard verso il basso) ma qual è la soluzione?
Una risposta potrebbe essere quella di studiare contenuti specifici per specifici driver, così che le fotocopie-scansioni di cui parla enpi diventino semplicemente qualcosa di diverso, e non in concorrenza, con i prodotti nuovi (in questo senso Quintadicopertina secondo me parte da un’idea vincente).
Questo però mi sembra che aggiri il problema senza superarlo del tutto (tra le altre cose perché il tuo libro può comunque venir piratato, e anche se forse non è il problema maggiore resta pur sempre un problema).
E’ una questione davvero molto complessa.
ciao Gianluca!
“la “gratuità forzata” livella necessariamente lo standard verso il basso”.
questa è una possibilità.
un’altra è che verso il basso ci vadano i prezzi.
altra possibile via, potrebbe essere: scarico gratis. se mi piace pago un tot, come per i free software.
credo che sia proprio con Linux e gli GNU che bisogna confrontarsi.
un ePub scaricato aggratis può essere identico a un ePub acquistato, come accade per i software.
al contrario un mp3, o un divx sono delle compressioni – per cui può avere un senso acquistare un dvd originale, con una qualità video e audio più altra, gli extra ecc.
insomma: credo proprio che il paragone più calzante sia con i produttori di software con licenza GNU.
loro come campano?
le *distribuzioni* linux, per esempio hanno un buon mercato. immaginare di mandare un cd con tutto il catalogo della propria c.e. – o tutti i libri di un determinato autore – a un ‘buon prezzo’ potrebbe avere un senso [gli informatizzati sono davvero una quota esile della popolazione italiana. avere un supporto che intuitivamente mi permette di versare gli eBook sul mio reader è una buona cosa]
ciò detto – metto altra carne al fuoco – credo che la diffusione degli eReader faccia più paura alle major che ai piccoli editori.
il bestseller in ePub avrà centinaia di fonti e sarà scaricabile davvero in 30 secondi. il libro “di nicchia” sarà meno reperibile in Emule e affini. e a un prezzo modico sarà più semplice acquistarlo, che cercarlo in p2p.
e-
Ciao enpi, premetto che non sono un esperto in materia, ma in sostanza la vedo così:
quello che dici riguardo ai prezzi più bassi e al “modello software” sarebbe un’ottima cosa ma (e torniamo al discorso iniziato sul mio blog) presuppone un certo grado di etica o quantomeno di consapevolezza da parte degli utenti. cioè, potendo scegliere tra pagare e non pagare, che gli utenti scelgano di pagare, magari poco ma di pagare, per qualche buona ragione (o etica: è giusto pagare; o legata alla consapevolezza del mezzo: per esempio scegliere una determinata c.e. perché ci si fida della linea editoriale del suo direttore ecc.). Perché la questione, di fondo, mi sembra questa: impedire la pirateria su web è impossibile, almeno al momento (ci hanno provato in tutti i modi negli ultimi dieci anni e nessuno ci è riuscito). Quindi l’utente dovrebbe SCEGLIERE di acquistare per qualche buona ragione. La domanda quindi diventa: qual è questa ragione?
Sul discorso dello scarso livello di informatizzazione hai ragione, per il momento è così. Ma questo secondo me capita anche perché il “digital divide” tra la nostra generazione e quella dei nostri genitori è enorme. Sarà ancora così tra dieci anni? E tra venti?
Il discorso Linux/GNU è ancora più complesso, anzi, per certi versi mi sembra il contrario: Apple e Windows sono a pagamento ma “preconfezionati”, Linux è gratuito ma richiede un certo grado di sbattimento, quantomeno per imparare un nuovo sistema operativo. Finora la gente ha preferito di gran lunga il pacchetto pronto piuttosto che un sistema operativo libero (e io sono tra questi: ho un cpu con installato Ububtu ma non lo uso quasi mai, fluttuo tra Mac e Windows semplicemente perché è più facile…). Chi paga le distribuzioni di Linux, a mio modo di vedere, è essenzialmente un tipo di utente molto particolare, che crede nella causa dell’open source e del free software. E questi, mettila come vuoi, rimarranno sempre una minoranza (è come dare ogni Natale i soldi al WWF: è un’ottima cosa, ma non ci si può aspettare che lo facciano 60 milioni di italiani, e dove non ci sono grandi numeri non c’è nemmeno mercato considerevole, e quindi la reticenza delle major ad imporre uno standard cresce in maniera esponenziale).
Sull’ultimo punto invece sono perfettamente d’accordo, ma sempre per il discorso che facevo prima: se mi piace un piccolo editore non mi pesa affatto pagare i suoi libri (soprattutto se costano 3 €), anzi, ne sono felice – e comunque, come dicevi tu, il libro di nicchia sarà troppo difficile da reperire, e quindi tanto vale pagarlo.
Il problema però mi sembra quello che dicevo prima, e cioè che finché non sono le major a muoversi sarà molto difficile che si impongano degli standard, e finché non c’è mercato le major non si muovono. Vedremo cosa capiterà nel 2011, che sembra l’anno zero dell’ebook, almeno a sentire i grandi editori di questo paese…
Secondo me Gianluca fai un errore di fondo ed anche enpi.
GNU/Linux è un prodotto che ha bisogno di una certa assistenza un ebook non proprio.
La questione i fondo che va dibattuta non è sul costo di rilascio del prodotto editoriale ma su ciò che c’è intorno all’ebook.
GNU/Linux non è un prodotto di nicchia viene usato in milioni di installazioni, basti pensare ad Internet e quanti milioni di server lo compongono, di questi circa la metà sono GNU/Linux o s.o. che comunque fanno capo ad una licenza libera, case come Red Hat o Canonical (Ubuntu) fanno milioni di dollaroni con l’assistenza ai sistemi installati, non vendendo distribuzioni. (Non per Red Hat)
Su un ebook come puoi fare qualcosa di simile?
Bè un’idea buttata la è sul valore aggiunto, ovvero ad esempio se compro l’ebook invece che scaricarlo tramite p2p accedo ad una chat in cui posso parlare con l’autore.
Quando RMS invento il software libero non disse che si doveva necessariamente guadagnare con la vendita, molto meglio puntare con l’assistenza, credo che bisogni puntare sull’assistenza anche vendendo ebook.
M.
Ho letto i vostri commenti che sono molto puntuali e precisi. Il problema di fondo è proprio quello della consapevolezza di colui che pirata: è possibile lavorare su questa consapevolezza e creare una cultura per la quale pagare un prodotto digitale (che si può scaricare anche illegalmente) è normale?
Si può creare uno standard di commercio culturale di prodotti intangibili e duplicabili?
Si possono tirare fuori esempi diversi, come l’iTunes store, o le vendite di Amazon, ma sono esempi che funzionano solo fino ad un certo punto: iTunes lavora su grandissimi numeri e -almeno nel suo avvio- operava come opera oggi Amazon, ovvero legando un prodotto hardware ad uno store software.
Non ho una risposta, ma quello che credo è che molti non si pongano nemmeno la domanda, ovvero che il p2p sia avvertito come una normalità per il solo fatto che si possa fare e non si faccia male a nessuno. In realtà, come scrivevo sopra, non solo si fa male a chi è piratato, ma si fa male pure agli altri che piratati non sono.
Non mi stupirei che tutto questo possa portare in un futuro neppure troppo lontano ad avere apparecchi hardware per leggere, vuoti. I contenuti saranno in rete e dietro forme di abbonamento.
ecco, Fabrizio, “abbonamento” e “fideizzazione” potrebbero essere due parole chiave.
e probabilmente le c.e. diverranno ossessive e spammatrici quanto i venditori on-line di viagra…
ma – lo chiedo a te, che ne sai molto più di me di informatica – le software house che producono free, come campano? con le donazioni? coi “servizi”?
e-
Con l’assistenza i loro prodotti, e non è che parlo di quattro lire.
IBM tanto per citare o Oracle vivono soprattutto di assistenza.
C’è anche da vedere/capire quale sarà il ruolo della distribuzione on-line, che oggi mi pare riproporre sostanzialmente il modello tradizionale.
Le software house che producono “free” campano spesso sui servizi, ma se si guarda in genere all’open source la situazione è quantomai diversificata e non sempre eroica come sembrerebbe. Prendi Openoffice, il grande pacchetto per l’ufficio gratuito alternativo a quello microsoft.
In giro leggi che è un opensource portato avanti da programmatori liberi che lo fanno per passione. Il che è parzialmente vero, ma anche parzialmente falso. Perché il cuore del pacchetto altro non è che Staroffice, un pacchetto commerciale liberalizzato da Sun qualche anno fa, e perché la parte sostanziale del lavoro viene fatta ancora oggi da programmatori stipendiati dalla stessa Sun. In questo caso l’interesse è avere un pacchetto alternativo a quello Microsoft sui sistemi unix (come quello della Sun), visto che Microsoft non sviluppa Office per unix.
A dire il vero oramai è il contrario, oggi Staroffice è sviluppato a partire da OpenOffice anche se è di due giorni fa la grande notizia, OpenOffice non fa più parte di Oracle ma cammina con le sue gambe.
Per onor di cronaca Staroffice è del 1985 (fonte wikipedia)
@Marco Grazia.
sì, le distribuzioni linux.
però ci sono tanti buoni programmi freeware, che non necessitano di assistanza.
sul mio pc girano, al momento:
Open office;
Irfanview;
Gimp2;
Firefox e diverse sue add-on;
jdownloader;
Vlc mediaplayer;
e altri 4/5 programmini.
più skype che uso solo nella forma “free”.
prendiamo irfanview, io ce l’avevo pure con Windows98. all’epoca era poche centinaia di byte – tipo 350kb.
visualizza centinaia di estensioni, fa qualche effettino di grafica ecc.
lo sviluppano da anni.
è gratis, del tutto.
se vado sul sito dell’irfanview, vedo che ha numerose plug-in, tutte freeware:
“PlugIns updated after the version 4.27:
# Paint PlugIn (version 0.4.13.70): Installer or ZIP – fix for a memory problem/leak
# JPG-Transform PlugIn (version 4.28): Installer or ZIP – added option to remove JFIF JPG header
# ImPDF PlugIn (version 0.78): Installer or ZIP – new features added”
e scopro che l’autore è bosniaco, si chiama Irfan Skiljan – mi pare – e che è possibile fare una donazione di 10 euro via paypal.
possiamo prendere lui, come metro di paragone?
e-
Magari il signor Irfan fa altro per campare e magari sviluppa per passione.
Tra l’altro nella sua pagina personale (http://www.irfanview.com/main_about.htm) dice anche che riceve circa 60000 email di congratulazioni, evidentemente questo già basta per lui.
Vuoi altro? Eric S. Raymond.
Mantiene a tempo perso il Jargon file, scrive libri, era fondatore di VA Linux, cofondatore con O’Reilly (quello dei libri) dell’Open Source Initiative, autore di moltissimo software.
Perché lo fa? Lui come molti altri come lui?
Per piacere, per soldi, per il gusto di dire anche io c’ero.
http://digilinux.altervista.org/cattedrale_bazar.html (il suo libro di maggior successo, anche questo gratuito)
Sono milioni coloro che fanno queste cose gratuitamente, The GIMP è gratuito ma non è che chi ci lavora dietro campa d’aria vive di altro, a volte il software sviluppato serve anche da biglietto da visita, vedi la vicenda di Linus Torvalds che da oscuro studente ricercatore a Helsinky ora se la gode in California. Che ha fatto, nulla ha solo creato il primo nucleo di un sistema operativo gratuito!
Però bisogna fare delle differenze. Già ho detto più volte come la penso: l’e-book credo che sarà una grande rivoluzione per gli editori piccoli, di nicchia, altamente specializzati, di “avanguardia” eccetera. A livelli numericamente più alti però non ci si può aspettare (cioè: sarebbe auspicabile, ma secondo me non è realistico) che funzioni un modello “freeware”. Voglio dire, enpi, che il fatturato di un grande editore non è quello che mette sul 730 Irfan Skiljan, e che finora non si è trovato nessun modo di fare grande business sul web. Magari ci si inventerà qualcosa, ma per ora il guadagno deriva da quanti libri vendi: se i libri sono gratis non c’è nemmeno guadagno.
Invece quello che dice Marco Grazia sul “surplus” mi sembra una direzione molto plausibile che l’editoria digitale potrebbe imboccare nei prossimi anni. Certo è, a mio parere, che mettere online il pdf di Garcia Marquez, facendolo pagare poco meno del libro e spacciarlo per un ebook, non porterà a niente. Se l’ebook potesse offrire anche qualcos’altro oltre al testo del libro (chessò: contenuti multimediali, piattaforme interattive eccetera) la questione cambierebbe. E qui c’è anche un discorso di tecnologia, visto che allo stato attuale delle cose più che un testo nudo e non impaginato (lasciamo perdere il discorso xml, che è molto importante per un certo genere di testi e del tutto irrilevante per altri) l’ebook non può offrire.
Insomma, secondo me su questa cosa si sta facendo molto rumore, ma come e in che direzione le cose si evolveranno è un mistero per tutti, per gli editori in primis.
Quello che dici è giusto e infatti chi fa i soldi con Internet non è la mia amica che vende prodotti per fare torte ma Amazon ad esempio che dietro non ha “solo” il sudore e i caffè di giornate (notti comprese) a cercare quel prodotto innovativo da vendere.
Se penso agli ebook di Apogeo vedo spesso che sono edizioni minime di altri libri cartacei, insomma nessuno regala nulla nell’editoria, specie in questo paese.
Carta o ebook che sia a me piacerebbe vedere librerie o biblioteche come in America o in Inghilterra, cioè dei veri caffè letterari che apparentemente solo incidentalmente vendono libri.
Io vedo così un sito per soli ebook (ma ovviamente non necessariamente solo ebook) cioè un sito in cui mediante varie tecniche si vendono oltre ai libri molto altro.
Il Forum di discussione con l’autore è solo il primo passo, ma ad esempio filmati con interviste da dare in pasto ad avventori ed affiliati che poi comprano un ebook perché sono felici di dare anche tre euro per qualcosa che avrebbero si trovato gratis altrove ma che non li avrebbe fatti crescere culturalmente.
Gianluca, c’è una cosa che nessuno vuole dire…
gli ePub sono testo – xhtml+xml.
ci possiamo mettere tutte le DRM che vogliamo, le autenticazioni, le restrizioni ecc., ma basterà sempre fare un copia e incolla. ci sono keygenerator per qualsiasi programma, si aggirano le protezioni dei cd audio, dei blu ray, di tutto.
uan volta diffusi i testi, saranno in libera circolazione.
questa è la verità.
i libri digitali dovranno costare pochissimo. altrimenti saranno piratati.
si dovranno immaginare delle forme di distribuzione molto più orientate al “cliente”. le cose cambieranno, per forza.
ciao!
e-
Appunto. Questo per gli editori è un grave problema da tutti i punti di vista. Perché come dici giustamente un xml si può copiare e incollare, ma non solo. Anche perché allo stato delle cose è difficile offrire in un e-book qualcosa di più che il semplice testo (a meno che il lettore non sia sempre online mentre legge, e lo stato delle infrastrutture in Italia non è tale da rendere realistico questo scenario).
Ma non è detto che questo sia un bene. Faccio un piccolo passo indietro. È giusto avere un guadagno da un prodotto culturale?
Sembra una domanda banale, ma smette di esserlo quando si ragione in termini di gratuità dei contenuti, di freeware, di lavoro-passione-non-retribuito.
Il lavoro intellettuale viene percepito in rete come un lavoro che *deve* essere gratuito e che si può copiare senza danneggiare sostanzialmente nessuno.
Tutti noi paghiamo servizi, anche digitali, senza battere ciglio, come adesso state pagando una connessione con un provider o la licenza del sistema operativo del vostro computer, ma il prodotto culturale e intellettuale che trovate in rete dovrebbe avere un alone di gratuità e diventare un benefit per -ad esempio- il vostro provider.
In rete trovate il sito di repubblica: non vi sognereste di pagare i contenuti del sito di repubblica, ma di fatto pagate un provider che vi permette di accedere ai contenuti del sito di repubblica.
È un paradosso, diciamo così, che arricchisce -molto- alcuni operatori commerciali che detengono le chiavi della rete, e che svaluta -molto- il potere di chi lavora intellettualmente e culturalmente per pochi euro in una rete che non è disposta a pagare qualcosa che è copincollabile.
Ed è un danno per noi, non tanto come clienti, ma come produttori: produciamo con le nostre scritture “contenuti” culturali che arricchiscono google, facebook, fastweb. E la cosa “ci sta bene” perché nel frattempo consumiamo altri produttori “a gratis”. Che gratis non è.
Chi produce informazione e cultura viene pagato sempre meno per lavorare sempre peggio e fornire contenuti sempre più conformi.
@Lamerotanti anche se non leggo, non mi informo, non navigo comunque pago, anche l’aria che respiro la pago, pago le tasse per vivere ed è già un bel pagare ma non per questo smetto di pagare o di vivere.
C’è indubbiamente una tassa per navigare su Internet pagata la quale ho accesso a tutta una serie di informazioni, ma anche no 🙂
Volendo non accedo mai a siti di informazioni, volendo mi diverto solo a “chattare” cosa che tra l’altro fanno migliaglia di persone.
Il giornale che da le informazioni gratis lo fa per altri motivi, per fidalizzarsi i lettori non perché così dev’essere.
Quindi attenzione a non scagaliare per primi la pietra perché si riceve un macigno.
Chi ha iniziato cioè i grandi network americani stanno diventando a pagamento.
Quindi il problema non si pone perché è a monte, un giornale paga i propri redattori (eccetera) a prescindere da ciò che trovo su Internet, non ci sono redattori non pagati per mettere le informazioni fruibili gratuitamente.
Semmai siamo noi qui con queste discussioni a non essere pagati 🙂
Eppure lo facciamo per dire la nostra ma alla fine il tornaconto è questo appunto la possibilità di dire la nostra liberamente su un argomento e permettimi di dire che io pago volentieri la possibilità di potermi esprimere liberamente.
Siamo noi ma anche i giornalisti. Se hai tempo ti consiglio una serie di articoli che trovi sul secondo numero alfabeta2, adesso in edicola. Si parla di lavoro intellettuale, lavoro cognitivo e di come questo lavoro oggi valga sempre meno. I giornali stanno tornando sui loro passi, ma questa ‘libera informazione’, anche questa che stiamo facendo noi qua in questo blog, produce comunque reddito per qualcuno che non siamo noi. Ne abbiamo bisogno, e qualcuno sta guadagnando soldi su questo bisogno che noi stessi ci autoprocuriamo gli uni agli altri. Tanto da pensare che sia in qualche modo lecito che sia gratuito, il fruirne e il produrne.
Questo è un punto interessante e complesso della questione. Alla domanda io risponderei ovviamente di sì. Ma dal punto di vista dell’utente le cose cambiano (forse anche solo perché non c’è un perché no, visto che le cose gratis, comunque, le trovi). Come fornire contenuti gratuiti pagando chi li produce? Questo per me resta un mistero – e forse per ora è una domanda senza risposta. Di sicuro la soluzione “a metà strada” che si è (non) scelta in questi anni produce proprio quello che dici tu, cioè il trionfo del dilettantismo. Cosa che, a mio modo di vedere, uccide tutti in un colpo solo, autori, editori e utenti.
Ma è un problema che noi, che siamo produttori di contenuti culturali, dobbiamo porci. Ci troviamo in un sistema in cui il lavoro intellettuale è duplicabile a costo zero, e questa duplicazione abbassa la remunerazione che possiamo avere per il nostro lavoro e contemporaneamente abbassa la qualità dei contenuti che troviamo in rete. Sapete chi sono i primi attori della filiera editoriale digitale che trarranno guadagno dal passaggio al digitale. Non gli scrittori, non gli editori, ma poco sopra: i distributori connessi ad un pezzo hardware per fruire dei contenuti. Per quanto misero sia il mercato, la parte finale dell’imbuto resta quella.
Questo spiega il perché delle grandi conversioni di massa, “alla buona” e con la stecchetta dei prezzi tenuta in alto.
Lavorare su contenuti di qualità digitali non è una buona scelta commerciale.
@Fabrizio
“È giusto avere un guadagno da un prodotto culturale?”
sì, evidentemente sì.
quello di cui gli editori non si sono ancora resi conto, è che la *rivoluzione ePub* avrà implicazioni enormi, a tutti i livelli.
vedo in vendita i primi ePub – versioni digitali di libri cartacei – in vendita a più di metà del prezzo del cartaceo: 7, 8, 10 euro.
questo prezzo è immotivato. è stupido. non ha riscontri nei costi effettivi.
vogliono mangiarci tutti: nuovi distributori, vecchi editori ecc.
non si rendono conto che bisognerà offrire altro, in altro modo.
il consumatore tipo, quello che compra un dvd originale, che non ha accesso a software semplici per scaricare/craccare/masterizzare, in questo caso è fuori mercato da sé – al momento gli eReader sono roba da alfabetizzati informatici.
per vendere a quel consumatore saranno necessarie politiche commerciali diverse. e ci vorranno anni.
per vendere a chi ha delle minime capacità informatiche, dovrò tenere i prezzi bassi, molto bassi. c’è una soglia tra l’acquisto e la pirateria, e secondo me si aggira tra l’euro e mezzo e i tre euro. sopra prevale l’istinto di non pagare per i prodotti culturali – specie se non c’è alcuna differenza fra il prodotto a pagamento e il prodotto piratato.
e-
Infatti l’ePub a 10 €, uguale al cartaceo a 15 o 20, è una follia totale, una scelta completamente insensata. Sulle come i grandi editori stiano valutando le implicazioni dell’ebook non so. Io credo che sostanzialmente stiano aspettando di vedere cosa capita. Fanno esperimenti, cominciano a crearsi un catalogo digitale per non rimanere in dietro nel caso in cui, a volte soltanto mettono online il file di stampa in *pdf. Mi hanno detto che a Francoforte si è parlato quasi solo di questo. Ne parlano tutti, ma ripeto: secondo me nessuno ha veramente idea di cosa succederà nel futuro immediato.
Guardano tutti al modello amazon e vogliono ricrearlo identico in Italia. Btw, io ritengo che il modello amazon o il modello iTunes, benché commercialmente assolutamente vincenti (soprattutto per amazon e apple…), non siano modelli culturalmente vincenti. Anzi sono modelli pigri che alimentano un consumismo passivo identico (se non peggiore) di quello del mercato tradizionale.
il cartaceo a 15, però ha – almeno – dei costi. delle motivazioni. il digitale a 10. è sciocco.
Interessantissima discussione. Soprattutto la parte che riguarda la fregatura di produrre contenuti a gratis per altri, presi dal gioco che anche noi usufruiamo di contenuti a gratis di altri. Orizzonte di difficile interpretazione. Una chiave potrebbe essere, per chi produce contenuti digitali di qualità, fidelizzare il lettore offrendo prezzi bassi e buoni prodotti. Altre vie non ne vedo. Bisognerà conquistare i lettori uno ad uno e convincerli che dare tre euro per un libro non sono soldi sprecati, ma un finanziamento ad un progetto – idea – contenitore che ci piace.
Paradossale ma abbastanza realistica anche la visione di ereader vuoti coi contenuti tutti in rete. E anche li, fidelizzazione e abbonamenti saranno probabilmente le chiavi.
l’ipotesi di ebook reader senza ebook ma con software che aggregano o consultano contenuti in rete sarà un passo obbligato, soprattutto per quel che riguarda i contenuti dinamici: ma anche perché è un modo molto semplice per andare oltre al p2p: non posso digitalizzare e copiare un contenuto che non ha forma. in realtà queste cose già si fanno per computer e soprattutto per la telefonia mobile.
sì, come dice alessandro, ci sono vari spunti interessanti, in questa discussione.
la domanda che dovremmo porci è: quanto siamo disposto a spendere per un epub?
chi comprerà gli epub?
come e perché li comprerà? attraverso quale canale?
il modello più simile, in questo momento, è rappresentato dalle librerie online: ibs, bol, webster ecc.
oggi cercavo un libro. io compro su ibs. su isb era irreperibile. su bol era scontato – 6,75 euro. però mi è successo, il paio di volte che ho acquistato dei libri su bol, che libri che dava in pronta consegna risultassero poi (poi= due, tre giorni dopo aver effettuato il pagamento) esauruti – facendomi sballare le spese di spedizione gratis ecc.
insomma si può dire che io sia “fideizzato”. su ibs faccio quei 4, 5 ordini all’anno, tutti > di 49 euro. una volta avevo fatto un conto: il risparmio è intorno al 35 percento.
però non è ibs che mi convince o mi porta ad acquistare libri.
non è, insomma, un promotore culturale. non ci sono approfondimenti, interviste – audio, testo o video – o discussioni.
credo che sia questo il punto…
[ibs, insomma, è “vecchio”]
e-
ripensavo alla querelle che c’è ora in rete sulla campagna internet4peace, e in generale a strumenti di marketing come la fidelizzazione, lo storytelling e compagnia cantante. il marketing che va oltre la reclame ‘passiva’ tradizionale è lugubre: come quelle amiche che vengono in casa a bere il te e nel mezzo delle chiacchiere tra amiche tirano fuori saponette e spugnette e iniziano a cercare di vendertele. ammetto di non amare il marketing in generale, ma il marketing 2.0 da un certo punto di vista è più subdolo e lugubre, non trovo termine migliore.
si potrà sviluppare una alleanza chiara con il lettore? tu vuoi questo e io sono disposto a fare quest’altro a questo prezzo. non voglio coinvolgerti nel mio brand, ma lavorare per prodotti intellettuali che siano almeno della qualità che mi chiedi.
Le questioni dell’articolo mi paiono mal poste. Si tratta di capire:
1) cosa posso fare io (editore autore consulente) con un ebook per renderlo meritevole di essere trovato e letto?
– cura tipografica;
– uso accorto delle possibilità espressive del mezzo;
– comodità d’uso e assenza di limitazioni (no DRM);
2) cosa posso mai offrire io (editore autore consulente) perché valga la pena di venire da me a cercare trovare e leggere un ebook?
– disponibilità certa;
– integrità filologica;
– etica (i soldi vanno all’autore/editore/consulente, le persone sono oneste se dai loro la possibilità)
– aggiornamento (romanzo a puntate);
– estensioni (mondi paralleli, cfr, Mongoliad).
Lamentare l’alta disponibilità di titoli nel canale grigio è come lamentare la concorrenza dei 30.000 libri pubblicati ogni anno in Italia.
Non so se l’autore editore consulente siano mestieri economicamente sostenibili, mi vien da pensare di sì, a ben cercare.
interessante discussione 🙂
piazzo due riflessioni sparse pure io premettendo – per chi non mi conosce – che mi occupo di scolastica, ed è un mercato diverso, almeno per noi che proponiamo licenza direttamente alla scuola e problema pirateria non esiste (chi è incuriosito veda qui).
Ci siamo però trovati a pubblicare un testo di filosofia del linguaggio per una facoltà torinese, dove la soluzione dell’abbonamento non regge. Siamo profondamente contrari ai DRM e quindi e quindi abbiamo ipotizzato di usare i social DRM, stampigliando semplicemente il nome dell’allievo come ex libris. Ma abbiamo provato a non fare neppure quello. Il docente aveva in classe una sessantina di allievi, avrebbe potuto scaricarlo uno di questi (5 euro) e passare il file a tutti gli altri, ma non è successo: il docente ha sensibilizzato gli studenti e alla fine abbiamo avuto, mi pare, 58 download.
Questo per dire che sì, secondo me si può lavorare sulla sensibilizzazione. Ci vorrà del tempo e non risolverà il problema del tutto.
Bisogna trovare altre strade, altri modelli di business, proporre contenuti in abbonamento, proporre contenuti online agganciati al testo che si vende, insomma, trovare altre forme.
E comunque queste piattaforme che si prendono un “pizzo” esagerato sul prezzo di copertina (sommate alla questione del 20% di iva) fanno sì che i prezzi non possano scendere di molto – e i buffoni che vendono i classici a 8/9 euro quando su liber liber si trovano gratis… bè, quello è un altro discorso.
@noa
io, sì, sono incuriosito, ma il link non funziona.
però ho visitato il sito di BBN.
l’editoria scolastica è un mondo a parte, per chi si occupa di narrativa – tipo me. e ho solo i miei ricordi a darmi una mano: mi ricordo, per esempio, che esisteva un cedolino col quale andavo a prendere il sussidiario in libreria. e mi ricordo che nella mia università riuscivo a studiare con delle fotocopie – e, a meno di non farsele da sé, esistevano, nei pressi della facoltà, veri e propri centri di “pirataggio”. e no, non sto parlando di una città del Sud.
mi ricordo anche che alcuni mi raccontavano che, nelle loro facoltà, per alcuni esami, dovevano portarsi dietro i libri e che i professori li firmavano – i libri.
forse il “docente ha sensibilizzato gli studenti” nello stesso modo in cui quei professori sensibilizzavano gli esaminandi ai miei tempi.
ma forse anche no.
certo lo Stato italiano dovrebbe scegliere un formato, e un eReader [un paio, magari] e riempire le scuole italiane. costringendo tutti gli editori di scolastica a passare al digitale.
dovrebbe farlo ora, con l’obiettivo – fra 4 o cinque anni – di sostuire il carteceo del tutto, nelle scuole dell’obbligo.
si risparmierebbero un bel po’ di soldi, e lo Stato aprirebbe decisamente le porte alla rivoluzione digitale.
inutile dire che non accadrà. di certo non ora…
e-
uh, mi spiace, chissà se Fabrizio da dietro le quinte riesce a correggere il codice 🙂
comunque l’intervento è qui: http://noa.bibienne.net/2010/02/23/seminario-csb-parte-4/
no, il docente si è limitato a dire che se i risultati della prova (dei testi digitali) non fossero stati soddisfacenti, il prossimo anno sarebbero andati in stampa e i costi sarebbero stati, ovviamente, altri…
per quanto riguarda il formato e il supporto io non so quanto oggi l’eReader possa essere la soluzione, sempre parlando di scuola ovviamente, ho molte perplessità a questo proposito 🙂
in un futuro, che spero vicino, sicuramente sì.
grazie, noa, adesso ci guardo.
perché l’eReader non va bene a scuola, secondo te?
ci vorrebbe qualcosa di diverso?
dei tablet?
e-